venerdì 8 novembre 2013


PRIEBKE E LA PENA DI MORTE
Priebke alle Fosse Ardeatine fu personalmente responsabile , volente o nolente, dell’uccisione di 5 uomini in più rispetto all’ordine militare ricevuto di “giustiziarne” 330 secondo la regola dettata dal folle e sanguinario Hitler : 10 per ogni tedesco ucciso. Nell’attentato di via Rasella a Roma, che diede poi origine al massacro delle Ardeatine, furono uccisi dai Gap 33 soldati sud tirolesi che passavano lì ogni giorno cantando, in modo ostentato e provocatorio, i loro inni e canti germanici.
Per almeno questo motivo, l’uccisione di 5 uomini, a mio parere, gli sarebbe spettata la condanna alla pena di morte dal Tribunale militare italiano che lo giudicò. Ma siamo a conoscenza che la pena di morte , secondo le leggi militari vigenti in Italia, la si può comminare solo in tempo di guerra ed in determinati casi stabiliti dalla legge .
Più in generale e a prescindere da Priebke , se giudichiamo come comuni persone e non come giudici in tribunale, si possono tenere presenti altri aspetti come quelli di tipo umanitario. Oppure di tipo più razionalistico in cui, però anche lì, non si dovrebbero escludere gli aspetti umanitari.
A mio parere è sempre positivo e dà lustro alla persona, interrogarsi, in tutta onestà intellettuale, sforzarsi ad entrare nei panni della persona giudicata, e chiedersi : al posto suo avrei fatto meglio, lo stesso o peggio? Giacche, credo che noi tutti, siamo soggetti a sbagliare.
Talvolta volontariamente lucidamente e consapevolmente. Oppure esasperati emotivamente dalle circostanze e/o da possibili provocazioni et cetera. Talora in “buona fede” , per insufficienza di informazione e conoscenza. Altre volte sbagliamo pensando addirittura di fare bene ed invece facciamo danni anche grossi.
Resta il fatto che quando giudichiamo gli altri usiamo un certo metro di giudizio. Mentre quando giudichiamo noi stessi, magari per lo stesso identico sbaglio, siamo molto più indulgenti e privilegiamo, fra le categorie di giudizio, quelle che ci sono più favorevoli.
Queste considerazioni sul nostro modo di essere non ci debbono però portare alle secche e pericolose concezioni del basso decadentismo culturale che , per altro, è quello attualmente predominante.
Noi tutti possiamo e dobbiamo migliorarci.
Personalmente ritengo che la pena di morte, per i reati di terrorismo e di omicidio volontario, possa essere un strumento che potrebbe salvare a priori la vita di potenziali vittime da parte di potenziali uccisori. Questo sia per l’effetto della deterrenza, sia perché chi ha già ucciso volontariamente diventa un potenziale assassino. Purtroppo non mancano esempi tragici in questo senso.
Ritornando a Priebke. Se avesse percepito la possibilità, reale per allora, di essere condannato a morte , forse si sarebbe guardato bene da uccidere quelle ignare ed incolpevoli, come tutte le altre 330, 5 persone in più. Se, al contrario, percepiva di passarla liscia o addirittura di essere pure lodato , pur se non ufficialmente, si capisce come questo possa averlo indotto a quell’eccidio e a mitragliarne 5 in più.
Le conseguenze che si sa di potere pagare, possono fare quindi la differenza tra la scelta a delinquere o all’opposto ad esimersi dal delinquere da parte di una stessa persona riguardo a qualsiasi tipo di reato.
Da questo punto di vista, Priebke, o qualunque altro uomo nelle stesse circostanze di Priebke, avrebbe probabilmente optato per la propria salvezza invece che trucidare quelle 5 povere vittime in più rispetto all’ordine militare ricevuto.
Da altro canto resta però anche certo che non siamo tutti uguali. Ovvero per esempio proprio lo stesso Priebke ha sempre dimostrato pubblicamente un atteggiamento di uno per niente pentito o addirittura forse anche fiero di se stesso.
E’ purtroppo dimostrato nei fatti, in generale e lasciando il caso particolare di Priebke, che chi si è reso colpevole di omicidi volontari o, peggio, con efferatezza, per terrorismo, per mafia, od anche per questioni di tipo personale, hanno poi, rimessi in libertà, se erano stati arrestati, oppure non catturati, perpetrato altri omicidi.
Per queste ragioni, a mio parere, per salvare la vita di potenziali vittime da parte di potenziali uccisori, nel caso in cui fosse il primo omicidio, o da assassini, per chi ha già commesso omicidio volontario, la pena di morte potrebbe essere uno strumento legale da prendere in considerazione.
Riguardo a ciò non condivido le posizioni di chi, per ideologia, e a priori in linea di principio, sono contrari alla pena di morte. Con questo tipo di posizioni, malauguratamente e di fatto, non si scongiurano possibili altri futuri omicidi.
Bisogna essere dalla parte di Abele, non di Caino.
Novembre 2013 prof. G. Pappalardo